
Il Giubileo dei Giovani 2025 non è stato soltanto un evento religioso, ma un’esperienza viva di comunità, in cui migliaia di giovani hanno condiviso momenti fatti di fede, amicizia ed emozioni autentiche. Un Giubileo impostato sul tema della speranza, nella quale le affermazioni di Papa Leone, dei cardinali Zuppi e Pizzaballa unite ad altre testimonianze, ci hanno consegnato parole forti, capaci di cogliere paure, attese e desideri nei cuori di un’intera generazione.
L’attesa: giovani in cerca di speranza e comunità
I giorni del Giubileo sono stati vissuti dai giovani – pellegrini di speranza – con sentimenti contrastanti nei loro cuori. Da una parte le paure legate alla crisi climatica, all’instabilità politica e a un mondo che cambia troppo in fretta; dall’altra la gioia e il desiderio di poter costruire insieme un futuro diverso. Un futuro nel quale le persone non siano più viste come un tesoro economico o un mercato di tendenza da comperare e controllare, ma come il tesoro più prezioso della società umana in grado di donare amore a un pianeta intriso di guerre e conflitti. «Una terra abusata e ferita», come denunciato dal cardinale Pizzaballa, al quale ha fatto eco il cardinale Zuppi quando ha chiesto di «porre fine alla guerra prima che la guerra ponga fine all’umanità», consci che siamo tutti sulla stessa barca. Inoltre, l’appello ai giovani del Santo Padre di essere costruttori di pace, diritto fondamentale della vita cristiana, raccoglie l’essenza della strada che la Chiesa ha intenzione di percorrere.
In questo contesto, il Giubileo è apparso come un varco verso una nuova visione: un tempo in cui i giovani potranno non sentirsi più soli, ma compresi e sostenuti dagli adulti, responsabili anche loro del cammino collettivo. Quest’ultimi dovranno saper trasmettere la necessaria fiducia per mutare il clima di pessimismo e cinismo quotidiano in un’era fatta di parole disarmate che illuminino l’amore e la bontà che tutti noi possediamo interiormente.
La Porta Santa: una soglia che cambia la vita
Il momento cardine della settimana giubilare è stato il passaggio attraverso la Porta Santa. Non un semplice passo in una porta qualsiasi, ma un’opportunità di varcare una soglia a doppio senso. Entrando, il pellegrino accoglie l’invito del Signore a seguirlo e a lasciarsi incontrare; uscendo, poi, porta nel mondo la bellezza dell’amore e del perdono sperimentati. Un’esperienza vissuta nella Chiesa e con la Chiesa, come fratelli e sorelle figli dello stesso Padre senza alcuna forma distintiva. Per molti giovani, varcare quella soglia ha significato prendere una decisione che implicasse una nuova direzione di vita: superare i propri limiti, varcare un confine interiore e intraprendere un cammino nuovo, senza tornare indietro come prima.
Un clima di incontro e comunicazione autentica
Durante la settimana giubilare, Roma si è trasformata in quello che Papa Francesco aveva auspicato nell’enciclica Fratelli Tutti: un unico popolo composto da lingue, culture e bandiere diverse, accumunate tutte dalla stessa fede e dalla consapevolezza che l’unità e la fraternità siano le vie giuste per superare il vero nemico della speranza, ovvero la paura. Nei vari momenti di comunità, tra i quali la veglia a Tor Vergata in cui si sono radunati più di un milione di pellegrini, i giovani hanno pregato, cantato e servito tutti quanti assieme, scoprendo che la speranza si alimenta soprattutto quando ci si incontra e si condivide il bello che risiede in noi. Ragazzi che sono stati visti anche come ispirazione per tutti i loro coetanei che vivono in Paesi di guerra e non hanno potuto essere presenti: una testimonianza che la speranza, anche se rubata, non deve mai cessare di ardere in ciascuno di noi, in quanto non esistono “tempi bui” in senso assoluto. Esiste solamente solo il tempo in cui viviamo e tutti noi, persone uniche nel loro genere, abbiamo un ruolo attivo nella storia per incanalarla nella giusta direzione.
Che insegnamenti ci lascia il Giubileo? Che il cammino deve continuare
Il Giubileo ha riacceso nei giovani la consapevolezza che la speranza, oltre a coltivarla e a viverla, sia fatta di azioni quotidiane. Non basta più stare bene con sé stessi o far stare bene gli altri: bisogna insegnare e imparare a costruire tutti quanti insieme il bene che poi verrà condiviso ed ereditato dal mondo intero. Alla fine della settimana, l’auspicio è di adottare la speranza come un impegno quotidiano realizzabile in tre 3 semplici passi: ascolto, disponibilità a capire, generosità nel dare una mano. È questa la principiale differenza – tra ascoltare soltanto e capire davvero – a rendere credibile la speranza.
Il Giubileo dei Giovani 2025 ha mostrato che quando i giovani si incontrano e si riconoscono parte di una stessa comunità, essa stessa diventa un luogo di speranza concreta. Roma è stato il luogo per una settimana di una comunicazione nuova: non gridata o fatta di slogan, ma fatta di ascolto, gesti e rispetto reciproco, il tutto in grado di creare unità e far sentire ciascuno di noi meno solo. Una settimana in cui la tristezza e frustrazione di molti adulti contemporanei, quelli che nel tempo hanno ridefinito i sogni in “illusioni”, è stata vinta dalla vitalità e dalla sete di speranza dei giovani.
Questa esperienza ha riacceso una fiamma e una luce in ciascuno di noi che da un po’ di tempo si stava consumando. Ora la vera sfida sta nel portare la speranza nella vita di tutti i giorni, trasformando la fede in gesti concreti di fraternità e comunicazione disarmata, continuando a camminare verso una vita piena per sé e per gli altri, consapevoli che, se vissuta in pieno, la speranza è la strada per la pace che può cambiare il mondo.