Giovani: per superare il nichilismo, occorre puntare alto

C’è bisogno di una “antropologia dell’altezza” che stimoli l’individuo a realizzare se stesso al massimo delle sue possibilità. Sfidando il vuoto culturale e valoriale in cui i giovani sono immersi

Fra il 1887 e il 1888 Friedrich Nietzsche scriveva: «manca il fine, la risposta al “perché?”. Che cosa significa nichilismo? – che i valori supremi perdono ogni valore». Con queste parole il pensatore tedesco sigillava, con profetico anticipo storico, il significato del nichilismo. «Il più inquietante tra tutti gli ospiti» si aggira come uno spettro tra le esistenze degli abitatori del nostro tempo, in particolare tra adolescenti e giovani. Questi ultimi, consapevoli o meno, stanno male proprio a causa di questa presenza perturbante che li confonde, li disorienta, ne annulla le prospettive, ne indebolisce le energie, conducendoli a sperimentare passioni tristi. Il nichilismo va inteso come assenza di senso e di direzione dovuti al collasso degli indicatori di via.

Da questa atmosfera nichilista sono avvolte anche le principali agenzie educative, come la famiglia e la scuola, che lanciano grida d’allarme senza sapere come gestire questa crisi pervasiva. E così, parafrasando il filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti, degli adolescenti e dei giovani si interessa solo il mercato che li considera come merce funzionale all’acquisto di altra merce. Social network, videogiochi, e-commerce, pornografia si fondano su algoritmi che sfruttano questo profondo vuoto, che avvolge le esistenze per scopi commerciali. In questa perversa dinamica iperconsumistica ad essere “esauriti” non sono solamente gli oggetti ma anche e soprattutto le stesse esistenze dei più giovani. Questi, non riescono più a proiettarsi nel futuro poiché faticano a scorgere nell’avvenire una qualche promessa. Ecco da dove origina l’appiattirsi sul momento. Non perché procuri gioia, ma perché seda l’angoscia del futuro che dilaga nel deserto di senso.

La ricerca del senso della vita

Adolescenti e giovani non sempre sono consapevoli di questo dinamismo sotteso alle loro esistenze e se lo sono faticano a dare un nome a ciò che li soffoca e li inquieta. Uno stato emotivo governato dall’assenza di scopo e dalla perdita di riferimenti. Ecco spiegate molte manifestazioni adolescenziali che spesso in maniera parossistica, solo talvolta in maniera sana, tendono ad anestetizzare questo vuoto e l’angoscia che ne risulta. Nel deserto esistenziale e culturale non è un caso, che spesso già tra i preadolescenti e in maniera più marcata negli adolescenti e nei giovani adulti, si senta parlare del successo economico e del prestigio sociale come uniche mete da realizzare.

Evidentemente il problema è profondo. Se manca lo scopo manca il significato e la vita precipita nell’abisso dell’insensatezza. Per quale motivo stare al mondo? Per chi o per che cosa vale la pena vivere? Risulta chiaro come il disagio non riguardi solo il singolo individuo, ma sia un problema comunitario. Il singolo è infatti vittima di una crisi socio-culturale, che si caratterizza per una mancanza di prospettive e possibilità concrete, per un vuoto di senso e di relazioni affettive autentiche e nutrienti. È dunque ovvio come le cure farmacologiche, sebbene in molti casi necessarie e vitali, non siano sufficienti. Invero, se l’individuo, come sosteneva Frankl, è animato primariamente dalla volontà di trovare e dare un senso alla propria vita, ebbene in una società nichilista, il problema non è più, o non è solo psicologico, ma è un problema esistenziale e culturale. Queste cifre devono essere tenute in debita considerazione da chi si occupa di relazione d’aiuto. Negli incontri si tratta dunque di stabilire non solo una relazione clinica, ma un approccio esistenziale capace di intercettare il malessere diffuso che sottende sovente una fame di senso. Il dialogo d’aiuto dev’essere capace di abbracciare i grandi interrogativi esistenziali. Un dialogo che sia anche filosofico, dunque, che aiuti l’individuo a trovare punti di ripartenza e nuovi percorsi di significato nella sua vita presente e futura.

Il vuoto culturale

Oltre a questo, è sulla cultura che bisogna intervenire. La precarietà, esacerbata dalle tensioni geo-politiche, è invero la dimensione che genera maggiore inquietudine e smarrimento. La nostra è una società che dimentica i giovani e non investe su di loro: il mercato del lavoro non li convoca e non li valorizza con salari adeguati e degni di questo nome. Il futuro non li motiva. Su questo s’innestano scelte politiche, economiche e sociali che confermano la mancanza di visione progettuale del futuro. Servono decisioni coraggiose che possano guardare oltre il limitato orizzonte presente o l’imminente tornata elettorale con lungimiranza.

Da anni si dice che il nostro «non è un Paese per giovani». Questo risulta sempre più drammaticamente vero. La nostra è di fatto una società che non crede nei giovani, non li sfida positivamente, non investe nella loro competenza, nella loro forza creativa e innovativa e altresì non ne impiega la forza biologica. Quest’ultimo aspetto risulta palese nei termini di quell’infausto inverno demografico che avrà notevoli ricadute economiche, previdenziali, sociali e culturali. Non è forse il prescindere dai giovani e il privarli di un futuro concreto il segno più evidente del «tramonto dell’occidente»?

I rimedi al vuoto culturale ed esistenziale che avvolge le giovani generazioni non sono certamente di immediata identificazione. Richiedono sguardo profondo, visione e volontà. Innanzitutto si tratta di aiutare i giovani ad identificare mete che possono dare senso alla vita. È importante far sentire loro la vita come un concreto compito cui sono chiamati a rispondere. In un orizzonte nichilistico è importante indicare ai giovani che è la vita stessa che si attende qualcosa da loro e che questo qualcosa si declina in valori significativi. Altresì è fondamentale stimolarli a riconoscere le proprie risorse, il proprio desiderio, le proprie potenzialità che rendono unico e irripetibile il contributo che ciascuno può dare al mondo proprio attraverso ciò che è. Così si realizzano significati e così, da una vita significativa, può scaturire anche l’autorealizzazione personale.

Il valore dei valori

Si tratta di additare ai giovani la possibilità sempre presente di realizzare un senso, mostrando opportunità, occasioni e scelte che ne elevino la qualità umana della vita e dei progetti. In una società adagiata al già dato degli istinti, c’è il bisogno urgente di investire su valori che innalzano l’umano. C’è bisogno di una “antropologia dell’altezza” che stimoli l’individuo a realizzare se stesso al massimo delle sue possibilità. Per questo serve una nuova visione, un “nuovo umanesimo” che riparta dall’individuo con le sue fragilità e con le sue infinite potenzialità creative, progettuali, relazionali e spirituali. In questo modo è possibile passare da un nichilismo passivo che rischia di farci rimanere incastrati nell’abisso dell’insignificanza e del vuoto esistenziale ad un nichilismo attivo. All’assunzione di questo vuoto non come condanna, ma come occasione di ripartenza esistenziale, che avviene se si rintraccia l’architrave del senso della vita.

Evidentemente, a questo fondamentale processo soggettivo devono accompagnarsi scelte politiche e sociali collettive che abbiano in vista i giovani, presente e futuro delle nazioni, non come numeri elettorali o agenti di consumo, ma come protagonisti imprescindibili di un’evoluzione culturale, sociale e politica. Solo così è ipotizzabile aiutare le nuove generazioni ad uscire dalla spirale di negatività che le travolge, pensando che un futuro degno per loro e di conseguenza per l’intera umanità sia ancora possibile.

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