
Israele si trova oggi di fronte a una delle più gravi crisi della sua storia recente: non solo sul piano militare a Gaza, ma anche nella sfera della comunicazione pubblica e della reputazione internazionale. Le immagini di bambini affamati e madri disperate in cerca di cibo tra le macerie non sono più episodi isolati, bensì testimonianze inconfutabili che smentiscono la narrazione ufficiale israeliana.
Davanti a queste immagini, il mondo sta cambiando atteggiamento: media occidentali, come The Guardian e The Washington Post e il New York Times, rilanciano quotidianamente la catastrofe umanitaria di Gaza. La narrazione israeliana che attribuiva alla resistenza palestinese la responsabilità per la crisi alimentare è sempre più in difficoltà.
La denuncia della comunità e dei media internazionali
Il rapporto pubblicato da Human Rights Watch ha definito l’uso della fame come arma, da parte di Israele, un “crimine di guerra”. L’organizzazione ha accusato espressamente funzionari israeliani, tra cui il ministro della Difesa Yoav Gallant, di aver pianificato il blocco dell’aiuto umanitario come strumento di pressione politica contro Hamas.
Un articolo del New York Times pubblicato a luglio 2025 ha confermato che Israele ha bloccato l’ingresso degli aiuti a Gaza dal mese di marzo, costringendo i civili a percorrere chilometri sotto i bombardamenti per raggiungere pochi punti di distribuzione. Solo quattro punti erano attivi e nessuno nel nord di Gaza.
The Guardian e The Washington Post hanno definito quanto sta accadendo come “la peggiore crisi di fame indotta dell’epoca moderna”. La fame non è frutto di una calamità naturale, ma una politica calcolata, con scopi politici e militari.
Nel mezzo di questa crisi, il recente Convegno Internazionale di New York, promosso dall’ONU e sostenuto da Francia, Arabia Saudita e Unione Europea, ha lanciato un messaggio chiaro: è tempo di porre fine all’occupazione e applicare la soluzione dei due Stati. Il documento conclusivo rappresenta, secondo i diplomatici, la prima volta in cui una platea internazionale così ampia riconosce la necessità di superare la narrazione israeliana tradizionale.
Trump e la rimozione di Netanyahu
Secondo fonti politiche a Washington, l’amministrazione di Donald Trump, attuale presidente USA, ha iniziato a rivedere il suo sostegno incondizionato a Netanyahu. Il consigliere speciale per il Medio Oriente, Steve Whitkoff, ha fatto pressioni su Israele per un accordo sugli ostaggi e il cessate il fuoco, leggendo la situazione come un peso strategico per gli Stati Uniti. La permanenza di Netanyahu al potere sta minando l’immagine americana nel mondo arabo e ostacolando ogni prospettiva di pace.
La crisi umanitaria a Gaza, unita alla crescente pressione internazionale e al mutamento dell’opinione pubblica americana ed europea, potrebbe segnare la fine del ciclo Netanyahu. La fame potrebbe diventare la miccia che cambia il panorama politico israeliano: da una politica di assedio a una nuova realtà fondata sul riconoscimento del diritto palestinese alla vita, alla dignità e alla sovranità.