Sono quasi le sei di pomeriggio. Una decina di bambini
giocano a pallone nel cortile della chiesa romana di Santa Maria Goretti a
viale Libia. Sergio ci viene incontro sorridendo. Indossa una camicia bianca e
un paio di blue jeans. Ci invita a passare per una piccola porticina che da sul
cortile. Scendiamo alcuni scalini e ci ritroviamo in uno scantinato, mentre i
nostri occhi piano piano si abituano all’oscurità. Sergio, da bravo storiografo
scout qual è, ci spiega fin da subito che ci troviamo all’interno della sede
scout “Roma 63”, che fu fondata nel 1916 e che – prima che il fascismo
abolisse l’intero movimento scout – si chiamava “Roma 23”. La stanza
non è molto grande. Il tempo ha lasciato il segno sui muri scrostati e le grate
arrugginite delle finestre. Sul pavimento dissestato aleggia uno strato di
polvere.
Sergio racconta che, in Italia, il periodo tra il 1926 e il 1943 è chiamato
“Giungla silente”. Durante questo tempo centinaia di scout hanno
continuato la loro attività in clandestinità, nonostante il fascismo lo
vietasse. Sergio sfoglia con sicurezza i suoi documenti, mentre,
inchiodata al muro, sopra il suo capo, fa capolino una tavoletta in legno con
scritte le leggi che stanno alla base dello scoutismo. «Lo scoutismo era
visto dal fascismo come un duplicato dei balilla», spiega, «ma non era possibile per il fascismo, tollerare un altro movimento che potesse affascinare i giovani. Mentre quello dei balilla era un movimento giovanile molto strutturato e codificato, lo scoutismo rispondeva molto di più a quello che i ragazzi richiedevano: lo spirito di avventura, di attività concreta immersi nella natura. Per questo motivo non era ben tollerato, tuttavia, essendo un’associazione cattolica,
aveva la protezione della Chiesa. Ci furono
dei tentativi di mantenere lo scoutismo vivo con degli aggiustamenti, come ad
esempio mettere il distintivo dei balilla sopra a quello scout, cambiare un po’
i nomi ai gruppi e alle associazioni, pur essendo queste associazioni
cattoliche».
Ci fu anche qualche prova di scoutismo conciliato con il fascismo.
«Qualcuno, pur comprendendo i limiti del fascismo dal
punto di vista educativo, cercava di far sopravvivere lo scoutismo cercando un compromesso. Una di
queste persone fu ad esempio Mario Mazza, che cercò, da maestro cattolico, di
far costruire un’ideologia scout che potesse esser accettata dal fascismo.
Addirittura aveva provato a mettere degli elementi di scoutismo nell’Opera
Nazionale Balilla. Ma il compromesso non funzionò». C’è stato qualche tentativo di tollerare lo scoutismo da parte di alcune regioni italiane, di alcune prefetture fasciste, ma poi quando arrivò la legge detta “fascistissima”, che scioglieva tutti
movimenti non fascisti, anche lo scoutismo fu sciolto. Da una parte il Papa
diede un caldo suggerimento di non ostacolare quest’impegno da parte del
fascismo di assorbire i ragazzi scout. Dall’altra parte lo scoutismo si
sciolse da solo, perché fu posta una direttiva che diceva che dovevano essere
portati nelle sedi le fiamme, i guidoni, i distintivi, e ogni altro oggetto
scout, e depositati in modo tale che potessero essere conservati, anche se
ufficialmente non avevano più luogo a esistere».
Alcuni gruppi scout rifiutarono di sciogliersi e mantennero le attività.
«Questo portò anche a delle violenze perpetrate nei confronti dei capi e dei
ragazzi. Un esempio fu il caso di don Minzoni,
che fu ucciso perché proteggeva questo tipo di entità
antifascista». Tuttavia, nel giro di poco tempo, tutte le realtà furono estinte salvo che in
due particolari casi: a Roma e Milano.
A Roma rimase una realtà mascherata,
perché i gruppi scout si chiamavano gruppi missionari catechetici, anche se
alle riunioni si ritrovavano con la divisa scout. Il gruppo di san Marco, a
Piazza Venezia, aveva addirittura la sede nel palazzo di Mussolini. Il gruppo durò
per tutto il periodo del fascismo.
A Milano l’esperienza fu più duratura
ed fu conosciuta come Aquile randagie:
un gruppo i cui ragazzi uscivano dalla città in borghese e poi nei campi si
mettevano le uniformi. «Questo è stato un segno importante per tutti gli altri
gruppi, ad esempio quello di Monza, che si unì al gruppo di Milano entrando a
far parte delle Aquile randagie. Queste realtà erano ben conosciute dal fascismo che non le tollerava, ma non riusciva
neanche a reprimerle. Soltanto un ragazzo fu intercettato, fu preso a bastonate e perse anche l’udito per un trauma alla testa. Tutto questo periodo è stato chiamato “giungla silente”», ricorda Cametti .
Sergio, mentre racconta queste cose, sembra averle
vissute: i suoi occhi azzurri sembrano viaggiare nelle pagine dei suoi documenti
storici, mentre le sue mani, muovendosi, sembrano disegnare nell’aria tutto ciò
che sta narrando.
Il seguito di Giungla Silente fu l’operazione Oscar. Con lo sbarco degli americani in Italia, tornò la speranza di poter essere liberati, privi
della guerra e liberi dai nazisti. «Le Aquile Randagie pensarono di poter
ricostituire lo scoutismo, perché nell’enfasi erano stati riaperti alcuni gruppi scout. Tuttavia l’occupazione
nazista si inasprì e ritenne necessario realizzare la “soluzione finale” degli ebrei, dei
profughi e dei dissidenti anche in Italia. Le Aquile Randagie trovarono una
specificità di intervento, nell’aiutare queste persone che correvano il rischio di essere
mandate in campi di sterminio. Oscar nacque come movimento per aiutare queste
persone ad espatriare». Una delle persone che lavorò molto a questo fine, fu un
sacerdote, Ghetti, che ebbe il permesso tacito dall’arcivescovo di Milano di
fare questa operazione. Le persone prendevano contatto con le Aquile
Randagie che, con le conoscenze che avevano del territorio, creavano
percorsi di uscita e di salvezza.
«Le Aquile Randage hanno fatto la
storia: se oggi un bambino vuole vivere appieno la realtà scout, lo deve
soprattutto a loro», conclude Cametti.
Sono ormai quasi le otto di sera mentre si alza un leggero
venticello. Dei bambini non c’è più traccia.