12 Mag 2025

Narratori o performer? Il dilemma del giornalismo sportivo oggi

Sembra facile fare informazione sportiva, ma non lo è. Una buona narrazione sportiva deve privilegiare il garbo, la misura, l’empatia e la centralità dell’evento, senza che il cronista ne diventi protagonista. E deve saper raccontare anche le donne...

È ancora possibile, oggi, raccontare un evento sportivo o storico divenuto epico? Difficile dirlo, soprattutto se si considera che, come dice Watzlawick, non si può «non comunicare». Ciò che conta, quindi, è la qualità di come lo si racconta: la forza narrativa, gli aspetti umani e valoriali emersi dai protagonisti e il legame emotivo creato con il pubblico sono ciò che rende indelebile un ricordo.

La narrazione sportiva nell’era digitale

Oggi la qualità della narrazione è un terreno sempre più arduo da curare, in quanto narrare significa anche sfidare la frenesia moderna. Le notizie corrono ad una velocità insostenibile tra piattaforme e media, rendendo difficile filtrare le informazioni “sane” e autentiche. L’IA ha accelerato ulteriormente questa dinamica, rischiando di rendere fugaci molti eventi, i quali vengono dimenticati dalla maggioranza delle persone dopo qualche giorno. Queste difficoltà coinvolgono le narrazioni di ogni settore, dal mondo politico a quello economico, e anche lo sport ne è incluso. Nonostante la sua forza simbolica e sociale che lo ha sempre contraddistinto, anche il racconto sportivo rischia di cadere nel processo di spettacolarizzazione, e di perdere anch’esso di autenticità e profondità.

Il giornalismo sportivo, e la sua narrazione, non deve essere assolutamente relegato a informazione di serie B. È un genere che richiede linguaggio preciso, conoscenza tecnica di gerghi specifici e capacità cronachistica. Un genere che, per obbligo, necessita di essere il più possibile obiettivo, ponendo l’evento in primo piano e costringendo il professionista a fare molta cronaca e poco commento. Questa peculiarità lo distingue da una comunicazione molto divisiva (come ad esempio quella politica). Eppure, oggi si assiste a una deriva fatta di urla, approssimazioni e povertà linguistica, favorita anche dai social.

Le “partite del secolo” a confronto

Il recente match tra Inter e Barcellona di Champions League, definito da molti “la partita del secolo”, ha rievocato subito alla memoria degli appassionati analogie simili (considerando anche lo stesso risultato, 4-3) alla storica semifinale Italia-Germania Ovest al mondiale di Messico 1970. Ma se allora Nando Martellini commentava, sulle reti RAI, con tono sobrio e formale, oggi assistiamo alle telecronache appassionate e focose di Fabio Caressa e Giuseppe Bergomi, che raccontano con toni accesi gli eventi su Pay-Tv. Il modo di narrare lo sport è cambiato nel tempo e molti, oggi, interpretano questi cambiamenti come un lento scivolamento verso la sola spettacolarizzazione, arrivando a criticare i cronisti odierni.

Questa sorte è toccata anche alla coppia Caressa e Bergomi, i quali sono stati accusati di aver condotto una telecronaca faziosa in favore dell’Inter. Le critiche si sono concentrate specialmente su Beppe Bergomi (ex calciatore nerazzurro per di più), considerato più tifoso che cronista. La replica dello “Zio” è stata chiara ribadendo di essersi sempre comportato da professionista e che in certi contesti, come quello di Inter-Barcellona, è impossibile non emozionarsi.

«Faccio telecronache da 25 anni e le critiche maggiori le ho sempre ricevute da tutti. Nel marzo 2019 la Juve ribalta l’Atletico Madrid con una tripletta di Ronaldo e va ai quarti di Champions. Due giorni dopo sono a San Siro per Inter-Eintracht Francoforte di Europa League e vengo accusato dagli interisti di essere filo juventino. Ormai ci sono abituato». (Giuseppe Bergomi)

Il racconto sportivo di qualità

Di questi tempi, una narrazione sportiva per essere considerata di qualità deve privilegiare il garbo, la misura, l’empatia e la centralità dell’evento, senza che il cronista ne diventi protagonista. Le polemiche sono inevitabili, soprattutto nel calcio, unico sport capace di generare forti polarizzazioni, odio e addirittura violenza, anche a causa dell’enorme giro economico che lo circonda ormai da anni.

Una tale eco non ci sarebbe stata per una telecronaca di sport (come la pallavolo o la pallanuoto) meno seguiti e meno divisivi del calcio. Queste discipline si fa fatica a raccontarle approfonditamente nell’arco dell’intera stagione, sia per poco budget che per poco seguito del pubblico. La Rai, pur garantendo una forma adeguata di servizio pubblico, si scontra con un pubblico poco attratto da queste discipline, salvo rare eccezioni come Olimpiadi o finali di un torneo.

Per garantire l’accesso popolare agli eventi sportivi più importanti, l’Italia ha istituito una lista di eventi di interesse generale (Delibera Agcom 2012), imponendo la loro trasmissione in chiaro. Un tentativo di contenere l’egemonia delle Pay-Tv e mantenere il diritto di un’informazione sportiva accessibile al popolo.

Lo sport femminile e la sua sfida narrativa

Oro Rosa
“Oro Rosa”, il libro di Marco Lollobrigida dedicato alle donne che hanno fatto vincere l’Italia

Un’altra sfida riguarda la narrazione delle discipline femminili. Marco Lollobrigida, vicedirettore di Rai Sport, ha da poco presentato all’Università Salesiana il suo libro “Oro rosa: Le donne che hanno portato l’Italia in cima al podio olimpico”, dedicato ai successi delle atlete italiane alle Olimpiadi. Il testo intreccia i successi sportivi alle vicende personali, spesso segnate da discriminazioni di generi e sacrifici oltremisura per il raggiungimento del successo.

Spesso si pone maggiormente la lente d’ingrandimento sulla vita privata delle atlete (compagni, figli, attività extra sportive ecc.) a discapito delle loro performance. Lollobrigida invita a non considerare questo aspetto come un mero tabù: l’intreccio tra la biografia personale e la carriera sportiva dell’atleta è ciò che permette al pubblico di percepire la personalità della sportiva, ed è quest’ultima che rimane indelebilmente nella memoria collettiva di tutti gli appassionati.

«La storia privata di un’atleta – sostiene Lollobrigida – non può essere nascosta. Va intrecciata con quella sportiva, tenendola sullo sfondo. Non è l’evento principale, ma è il teatro dove l’evento si svolge».

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