
Non può essere che la lavanda dei piedi, fatta da Gesù ai discepoli prima dell’ultima cena, venga raccontata soltanto in uno dei Vangeli. Una dimenticanza, da parte degli altri tre? Una sottovalutazione? Per fortuna ci ha pensato Giovanni, a ricordare un segno di comunione alla nostra portata. Forse consapevole del fatto che, talvolta, della comunione si ha paura, se ancora adesso, il giovedì santo, in certe chiese, ci si guarda bene dal lavare i piedi a tutti: giudei e greci, schiavi e liberi, maschi e femmine…
È un gesto potente, la lavanda dei piedi, che richiede d’essere fatto senza potenza, mettendo da parte i segni del comando: per servire non serve altro che un catino pieno d’acqua, più un asciugamano da legare attorno alla vita, come un grembiule.
È un gesto, però, non delegabile, né si può fare per finta. Tanto meno, in piedi. Si fa solo piegandosi, o inginocchiandosi, di fronte all’altro. Sgonfiandosi di pensieri, poteri, titoli, etichette, qualifiche, incarichi, ruoli, idee alte di sé… insomma di tutte le medaglie che fanno credere d’essere qualcuno. E che, alzando di un gradino, non lasciano scendere al livello dell’altro.
È un gesto che non solo si fa senza divisa, ma che porta tutti a togliersi la divisa. Mettersi ai piedi dell’altro, infatti, spinge anche l’altro a venirti incontro, slacciandosi i calzari, per predisporsi a ricevere. È un disarmo multilaterale: per di più contagioso, se porta persino ad aiutare il vicino a togliersi gli stivali, come si vede in quest’opera del Tintoretto (che amava l’episodio, al punto da dipingerlo sei volte!). La novità è proprio nel fatto che gli apostoli si stiano aiutando tra loro: non sono ancora capaci di lavarsi i piedi gli uni agli altri, ma alcuni stanno cominciando a capire…
Va infine notato il gesto di Pietro che, per l’entusiasmo, chiede d’essere lavato tutto («Anche le mani e la testa»). Mentre Gesù obietta che non occorre, avendo l’apostolo già fatto il bagno. Quasi a ricordare, a chi serve, di fare solo ciò che serve, non ciò che non serve.
