10 Lug 2014

Viva la donna, se è fuori dallo spot

Le donne sono libere? La quotidianità è piena di discriminazioni e di vecchie e nuove schiavitù. Prima tra tutte quella dell'immagine.

Dopo le grandi battaglie degli anni settanta e ottanta, le donne sembrano avere ottenuto tutte le libertà possibile e avere raggiunto la parità con gli uomini. Ma è davvero così? I dati statistici e le esperienze quotidiane delle donne dicono che in Italia no, non è esattamente così. In più, i modelli di vita che i media negli ultimi vent’anni hanno incessantemente proposto sono diventati sempre più invasivi, tanto che le donne, ormai, si trovano ad essere – oltre che discriminate nel lavoro e nella vita sociale e politica – schiave dell’immagine.

È questa la tesi che Paola Springhetti sostiene nel suo libro “Donna fuori dagli spot” (ed. Ave 2014). E la dimostra mettendo insieme dati presi da ricerche fatte in diversi campi e collegandoli tra loro, fino a comporre una specie di rosario dei problemi che complicano la vita delle donne oggi. Ad esempio, lo squilibrio nella distribuzione del lavoro casalingo e di cura, che fa sì che in Italia le donne lavorino ogni giorno un’ora in più degli uomini (Eurostat 2010). Oppure il fatto che le donne dicono di desiderare due figli (Istat 2009), ma poi non li fanno: il 54% delle coppie non ne ha, a causa della mancanza di risorse economiche, di servizi di welfare (nidi e asili), del precariato eccetera.

Ancora: l’Italia, tra i paesi europei, è uno di quelli che ha la minore percentuale di donne occupate (46%, media europea: 59%) e non certo perché questo è il loro desiderio. Il precariato colpisce più le donne (43% sotto i 39 anni) che gli uomini (30%) e le donne, a parità di mansioni, guadagnano in media il 16% in meno degli uomini (Eurispes 2009). Del resto, le donne si laureano in numero maggiore degli uomini e con risultati (a partire dalle scuole medie) mediamente migliori, ma fanno molta più fatica a trovare lavoro. E quando finalmente lo trovano si scontrano con i soffitti di cristallo, cioè con quegli invisibili ostacoli che impediscono loro da fare carriera: le donne sono il 37% tra i medici, ma il 12% tra i primari; il 45-60% degli impiegati di banca, ma il 13-14% dei dirigenti; tra gli ambasciatori c’è una donna ogni 24 uomini…

Si potrebbe continuare a lungo, raccontando la difficoltà delle donne in politica, nonostante alcune esperienze degli ultimi anni (Governo, alcuni consigli regionali) che dimostrano che, volendo, gli spazi ci sono e ci sono anche le donne competenti che possono ricoprirli. Oppure raccontando quanto sono discriminanti i media: nelle prime pagine dei giornali le firme femminili sono pochissime; nei salotti televisivi degli uomini si inquadra il volto, delle donne le gambe e i tacchi; se si invita un esperto è maschio, a meno che non si parli di sociale, per il quale vanno bene anche le donne…

Ma soprattutto, le donne devono essere giovani e belle, se vogliono raggiungere i propri obiettivi: è noto che gli uomini maturano, mentre le donne invecchiano; gli uomini si arrotondano, le donne ingrassano; gli uomini brutti sono “un tipo”, le donne sono brutte e basta. E di un uomo che diventa ministro si commentano il curriculum o le affermazioni, di una donna il modo di vestire.

A questa schiavitù dell’immagine le donne non sembrano capaci di reagire: la penetrazione dei modelli imposti dall’industria della bellezza e della moda e dai media è tale, che molte di esse si vedono con gli occhi degli uomini. E così, oltre a pagare un prezzo altissimo per tenere insieme casa e lavoro, vita privata e vita pubblica, affetti e impegno, ne pagano uno altrettanto altro per rientrare in canoni (taglia, forma fisica, giovinezza) che non rispettano la loro individualità. Perché se non ci rientriamo, in quei canoni, non ci sentiamo all’altezza della situazione, siamo deboli ed escludibili.

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