11 Lug 2025

Ultimo, il ragazzo che si è ripreso tutto con il suo pianoforte

Dalla borgata romana agli stadi pieni, Ultimo è un caso unico nella musica italiana: scrive, suona, riempie l’Olimpico e resta sé stesso. Non solo un fenomeno discografico, ma uno specchio emozionale di una generazione in cerca di verità, empatia e riscatto

C’è un affanno piuttosto diffuso verso la musica italiana contemporanea. Troppi artisti sembrano più vicini agli uffici stampa che alla verità emotiva. Poi c’è Ultimo che, piaccia o no, fa un altro mestiere. Lo si capisce già da come si siede al pianoforte: non posa, non finge. Suona, scrive, si commuove con una postura esistenziale prima che artistica: Ultimo è uno che ci crede, e il pubblico – soprattutto i più giovani – lo sente, lo segue. Fino agli stadi.

Dalle periferie agli stadi, senza scorciatoie

Niccolò Moriconi nasce a Roma nel 1996. Entra al Conservatorio a otto anni, scrive canzoni a sedici, vince Sanremo Giovani a ventuno. A ventitré riempie l’Olimpico con 64.000 persone: record. Non è solo talento, è fame emotiva. Le sue canzoni – da Pianeti a Ti dedico il silenzio, da Sogni appesi a Rondini al guinzaglio – sono imperfette ma vere. Scrive da solo, spesso al pianoforte, guidato dalla mano sinistra, come i grandi cantautori alle nostre spalle; un gesto antico, per musica nuova. È dai tempi di Paul McCartney che si è capito che quando si compone una canzone il modo migliore per farlo è seguire il basso per accompagnarsi durante la scrittura. Il basso a differenza della chitarra o del pianoforte (quando viene suonato nella sua “completezza”) non spinge il compositore verso determinati giri di accordi ma lascia più spazio alla voce facendo in modo che si possa sviluppare la propria di creatività, nella ricerca di soluzioni armoniche e melodiche ben più originali. Touché!

Tour negli stadi: moda o merito?

Oggi molti annunciano tour negli stadi come status symbol, tipo la Smart o l’iPhone. Ma spesso dietro si celano biglietti regalati, settori chiusi, accrediti sperperati per sold-out forzati, ma non è il caso di Ultimo: i suoi stadi sono pieni davvero. Non bluffa. È forse il segno di un patto reale col pubblico! Lui rappresenta l’autenticità, la stessa che, per esempio, manca un po’ a Elodie, la stessa che Cremonini ha sviluppato, la stessa che forse manca un po’ a Mengoni, impeccabile vocalmente ma meno personale. Ultimo inciampa vocalmente, ma commuove.

Un’anima antica in un corpo giovane

Ama i cantautori, ma non li imita: li respira. Dalla, il primo Tenco. Scrive di notte, da solo e un po’ isolato, che in un’epoca di ghostwriter, è davvero un’eccezione. C’è una poetica della mancanza nei suoi testi. In 22 settembre ad esempio, la vita è un orologio rotto. In Buongiorno vita, si cerca di ripartire. È musica per chi ha sentito il vuoto, e vuole rimettere insieme i pezzi.

Critica e identità: un rapporto complicato

La critica lo attacca: testi semplici, estetica adolescenziale ma senza fare semplici parallelismi anche Rino Gaetano fu criticato allo stesso modo. Rimane indimenticabile (e onestamente anche ormai introvabile su YouTube) un’intervista con Red Ronnie al Fiat Music Tour di qualche anno fa, prima del successo. Alla domanda «Perché Ultimo?», rispose: «Perché parlo agli ultimi come me, chi sente parlare di me deve capire immediatamente a chi è destinata la musica che faccio». Non era marketing. Era identità.

Il peso della voce, il coraggio del silenzio

Ha scelto una strada difficile eh, per carità: testi densi, melodie intime, voce imperfetta. Ma proprio quel tremore lo rende vero. Ogni strofa è un pezzo di biografia, ogni inciso una preghiera. Non canta per mostrare, canta per sentire e il pubblico se ne accorge, perché Ultimo canta con la pancia.

Nel panorama dominato da hit usa-e-getta, Ultimo è un corpo estraneo. Eppure funziona. Perché risponde a un bisogno: sentirsi visti, capiti. È un simbolo: ha trasformato fragilità in forza, solitudine in condivisione. In un’Italia dove i giovani faticano a trovare, lui l’ha trovata con ostinazione e verità.

Esistenzialismo da cameretta

Ultimo è un ragazzo partito da una stanza che non ha mai cambiato linguaggio, che non ha mai cercato di sembrare altro; in un’epoca di immagini costruite, questa coerenza non si può dire che non sia autenticamente rivoluzionaria. È come se, in ogni canzone, dicesse: «Ti capisco. Anche io ho sentito quello che senti tu». E forse è questa la sua vera forza: non la voce, non i numeri, ma il coraggio emotivo. Ultimo canta con il pubblico, non per il pubblico.

Ed è questo, a ben vedere, che lo rende davvero primo dalla parte degli ultimi.

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