L’accordo di pace tra Congo e Ruanda: una buona notizia ma… costosa

Per oltre trent’anni, l’est della RDC ha subito la violenza alimentata da interventi stranieri e traffici illeciti di minerali. «Questo accordo dimostra cosa può ottenere la diplomazia quando le persone sono veramente impegnate», ha dichiarato Rubio. Ma la strada è ancora lunga e difficile

In un momento storico che potrebbe segnare la fine di tre decenni di conflitto, la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e la Repubblica del Ruanda hanno firmato, il 27 giugno 2025, un accordo di pace globale presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Ospitato dal Segretario di Stato Marco Rubio e facilitato dalla cooperazione internazionale, l’accordo mira a inaugurare una nuova era di pace, sicurezza e cooperazione regionale nella regione dei Grandi Laghi africani. L’accordo segue la Dichiarazione di Principi firmata il 25 aprile scorso ed è il risultato di un intenso sforzo diplomatico che ha coinvolto l’Unione Africana, lo Stato del Qatar e altri attori chiave. Con la firma ufficiale, l’accordo entra immediatamente in vigore.

Una svolta attesa da tempo

Il segretario Rubio ha definito l’evento come una giornata storica e di speranza, sottolineando la difficile strada diplomatica e attribuendo a Donald Trump il merito di aver fatto della pace una priorità della sua politica estera. «Questo accordo dimostra cosa può ottenere la diplomazia quando le persone sono veramente impegnate», ha dichiarato Rubio. «Non si tratta solo di porre fine alle guerre, ma di restituire alle persone la libertà di sognare». I ministri degli esteri di entrambi i Paesi, Thérèse Kayikwamba Wagner per la RDC e Olivier Nduhungirehe per il Ruanda, hanno lodato il sostegno della comunità internazionale, in particolare quello del Qatar e dell’Unione Africana. L’accordo, che entra immediatamente in vigore, prevede l’impegno al disimpegno militare, al disarmo, al ritorno dei rifugiati e alla creazione di un meccanismo congiunto di coordinamento per la sicurezza. Tuttavia, mentre a Washington si respirava un clima di celebrazione, osservatori critici si interrogano sul vero prezzo di questa pace.

Una regione segnata dalla guerra e dalle ricchezze

Per oltre trent’anni, l’est della RDC ha subito una violenza incessante alimentata da tensioni etniche, interventi stranieri e traffici illeciti di minerali. La recente offensiva dell’M23, gruppo ribelle sostenuto dal Ruanda, ha riacceso i timori di un conflitto più ampio, causando nuovi sfollamenti.

È in questo contesto di instabilità che è cresciuto l’interesse per una pace negoziata, non solo da parte degli attori regionali, ma anche dagli Stati Uniti. In prima linea: il presidente Donald Trump, tornato sulla scena globale con l’etichetta di «presidente della pace». La sua amministrazione, attraverso figure chiave come Massad Boulos, consigliere speciale per l’Africa, ha avuto un ruolo centrale nei negoziati. Ma dietro il linguaggio della pace e della diplomazia si cela una forte componente economica.

Come dichiarato apertamente da Boulos, gli Stati Uniti perseguono i propri obiettivi, in particolare in termini di investimenti e accesso alle risorse naturali del Congo. Con enormi giacimenti minerari in particolare di coltan, fondamentale per l’elettronica, l’est della RDC rimane un polo di attrazione per gli interessi stranieri.

La questione di Rubaya (RDC)

Una delle aree più ricche di minerali è Rubaya, attualmente sotto il controllo dell’M23. Mentre l’intervento americano viene presentato come un’operazione di pacificazione, i critici sostengono che l’accordo possa aprire la strada a un accesso strategico alle risorse minerarie in cambio di stabilità politica. È un accordo sui minerali in cambio di sicurezza? Oltre alla sicurezza, l’accordo mira a promuovere la cooperazione economica e gli investimenti stranieri, soprattutto da parte di aziende americane. Sono previsti lo sviluppo infrastrutturale, progetti commerciali congiunti e la riabilitazione delle zone colpite dal conflitto.

Non meno importante è la dimensione umanitaria: l’accordo prevede il ritorno dei rifugiati e degli sfollati interni, con il supporto dell’Unhcr e di altre organizzazioni internazionali. Si garantisce anche l’accesso umanitario e il rafforzamento del mandato della Monusco, la missione delle Nazioni Unite nella RDC. Ma che ne è delle popolazioni locali, spesso intrappolate tra gruppi armati e negoziati internazionali ai quali non partecipano? L’accordo, pur ambizioso, rimane vago su come verranno garantiti giustizia, inclusione economica e protezione per coloro che hanno subito le conseguenze più gravi del conflitto.

Congo Pace
Miniera di rame e cobalto a Kawama (RDC) – foto di Michael Robinson Chavez (lowyinstitute.org)

Speranza e prudenza

Nonostante le espressioni di speranza pronunciate durante la cerimonia, i partecipanti hanno riconosciuto che la strada da percorrere è ancora lunga e difficile. La chiave sarà l’attuazione concreta, poiché l’accordo sarà tanto forte quanto la volontà politica di sostenerlo.

La ministra degli Esteri della RDC ha adottato un tono sobrio ma fiducioso, ricordando le ferite della guerra e richiamando al senso di responsabilità collettiva. «La pace è una scelta, ma anche una responsabilità: quella di proteggere la sovranità, i diritti umani e la dignità», ha affermato. «Non possiamo deludere chi ha sofferto di più».

Nelle parole del segretario Rubio: «Questo è il Dipartimento della Pace, e siamo orgogliosi di aver svolto il nostro ruolo. Ma il vero lavoro inizia adesso». Trump, in un discorso separato, ha definito l’accordo di pace «un trionfo glorioso» e ha affermato che, dopo trent’anni di sangue e instabilità, la regione ha finalmente una possibilità concreta di costruire un futuro pacifico e prospero. Ha anche annunciato la possibilità di accogliere a luglio i capi di Stato di Ruanda e RDC a Washington per finalizzare i protocolli e celebrare il successo dell’accordo.

Thérèse Kayikwamba Wagner ha ringraziato il Presidente Trump «per aver contribuito a porre fine a 30 anni di conflitto», lo ha esortato «a rimanere impegnato affinché l’accordo di pace tenga» ed ha espresso la speranza di «trasformare le nostre partnership in un’era di prosperità e crescita condivisa».

L’accordo di pace firmato a Washington è un passo audace e promettente verso la stabilità nella regione dei Grandi Laghi. Ma, come hanno sottolineato diplomatici e leader di entrambi i Paesi, questa è solo l’alba di un lungo cammino. Le settimane e i mesi a venire determineranno se questo momento storico porterà a una pace duratura o se rappresenterà un’altra occasione mancata.

condividi su